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mercoledì 21 ottobre 2009

RECENSIONE: Renée Fleming - Verismo


Ci sembrava doveroso spendere due parole sull'ennesimo recital in studio di una delle dive più "dive" degli ultimi vent'anni, l'americana Renée Fleming. La Fleming, nonostante abbia una suadente e pastosa voce lirica con la quale "poco si può fare" (così penserebbe qualcuno), si è lanciata non di rado in sfide artistiche clamorose, talvolta facendo il passo più lungo della gamba, talaltre colpendo nel segno a dispetto dei dettrattori. Quel che conta è che la Fleming, oltre ad essere una delle ultime grandi divastre dei nostri giorni, con tutti i pro e i contro che questo ruolo porta con sè, è un personaggio che osa prima di tutto artisticamente e la cosa, a prescindere dai risultati, non può che destare da parte nostra curiosità ed ammirazione. Dopo aver battuto vari territori, anche apparentemente molto distanti dalle sue attitudini (memorabile la sua Alcina, strepitosa la sua Armida, per dirne due eclatanti), la Fleming cerca nuovi orizzonti nel verismo italiano (in senso molto lato in verità), con un recital tutto dedicato agli autori italiani post-Verdi. Un territorio in cui, lo premettiamo, la cantante è di partenza non poco a disagio. In verità la Fleming si era già cimentata, in recital precedenti, nelle pagine più celebri di Puccini, Cilea, Catalani, Leoncavallo ecc. con risultati soddisfacenti in alcuni casi e un po' meno in altri. Questo disco si promette implicitamente di completare il quadro. Lodevole quindi, da un certo punto di vista, l'assenza di tutti i brani precedentemente incisi, perlopiù pagine note a tutti, il che ha permesso, salvo un paio di brani decisamente di repertorio, di scavare e scovare pagine che normalmente sarebbe difficile ascoltare in un cd di arie. Un occasione quindi per rivalutare e riscoprire un certo repertorio che, tolti i titoli pucciniani e poche altre eccezioni, è spesso trascurato e, giustamente o ingiustamente a seconda dei casi, sottovalutato.

Arriviamo alla performance vera e propria. La Fleming come si è detto già appare a disagio e per svariati motivi. Il primo è quello puramente vocale: il suo volume non è adatto a ruoli così "spinti" e fà fatica a ergersi naturalmente su orditi orchestrali così densi. E' lei per prima ad ammetterlo nel video promozionale dell'album, dove parla di Tosca e Butterfly come ruoli off-limits per la sua voce. Per rimanere in tema Puccini, gli altri ruoli paiono comunque esserle estranei, sia per un problema di proiezione della frase nei momenti lirici, sia per un accento scarso nei passaggi declamati, sia pure per una timbrica poco consona, oltre che per distanza psicologica. L'aria da La Rondine funziona abbastanza nella sua leggerezza (come il concertato posto alla fine del disco), meno bene va la sua Manon - nella foto - (Sola perduta abbandonata presentata in una versione inedita che unisce allo scopo promozionale uno scopo funzionale, visto che l'aria sembra avere una strumentazione diversa più consona alle qualità vocali della cantante), in cui sembra mancare l'urgenza del dramma e un certo accento bruciante e disperato. Ancora meno bene poi vanno i pezzi da Bohème e Suor Angelica, pagine nelle quali la Fleming non convince e non porta nulla di nuovo se non una onesta esecuzione e un bel timbro. Il personaggio puro e struggente è probabilmente troppo distante da lei sia per sensibilità psicologica che per colore vocale, e il risultato è evidente. Il pezzo pucciniano dove la Fleming ha qualcosa da dire è proprio l'ultima aria di Liù che, manco a dirlo, col verismo in senso stretto non c'entra ormai più nulla. La Liù della Fleming non è una novella Mimì, è un personaggio cristallizzato nel suo dolore, nella sua rinuncia, è un po' l'archetipo della sofferenza per amore portata a termini estremi di annullamento della vita stessa, una carnalissima "anti-Turandot" che, al posto di difendersi dai sentimenti elevandosi ad un grado ultraterreno, prende la via del totale e consapevole abbandono. Il colore vocale della Fleming, specie nell'arioso iniziale, è spesso trasfigurato in una sofferenza irreale ma vibrante, un favolismo nel quale Reneè sguazza piacevolmente. La scrittura poi è ormai diversa da Butterfly e co. e da questo la Fleming ne trae vantaggio. Fatta questa eccezione il suo Puccini è francamente dimenticabile, come pure, più o meno per le stesse motivazioni, il suo Mascagni (un po' meglio Lodoletta di Iris, per ragioni squisitamente atmosferiche).

Con Leoncavallo invece le cose vanno decisamente meglio. Già in passato la Fleming aveva spesso cantato dal vivo (e inciso) l'aria degli uccelli da "i Pagliacci", pezzo non facile tecnicamente nel quale aveva dimostrato di saperci fare grazie, oltre che ad una tecnica ferratissima, ad una liquidità del canto connaturata che con questo brano andava a nozze. Ora si cimenta nella Mimì leoncavalliana, personaggio più frivolo dell'alter-ego pucciniano, sorta di sintesi tra la Mimì e la Musetta dell'opera del compositore lucchese, personaggio nei panni del quale forse continua a non brillare, ma risulta quantomeno più credibile. La vera sorpresa sono i dieci minuti della scena da Zazà, che la stessa Fleming non nasconde essere il suo pezzo preferito di questo disco e, in definitiva, il piatto forte. La scena è assai suggestiva, Zazà, soubrette di un caffè-concerto, scopre che il suo amante è sposato e con una figlia, e lo scopre proprio conoscendo e parlando con la bambina (nell'opera - in realtà un'operetta - un ruolo recitato). E' in realtà la scena chiave di tutto il dramma, incentrato su un personaggio dalla psicologia complessa, in bilico tra i tormenti divistici di Tosca (pure lei cantante, seppur di ceto diverso), il dolore interiorizzato di Cio cio san (pure lei tradita da un uomo già ammogliato), e soprattutto incarnazione della dicotomia tra vita artistica e vita privata già sviscerata da Leoncavallo stesso nei Pagliacci. Un personaggio che la Fleming riesce a fare suo e ad esprimere con un fraseggio ora amorevole, ora nervoso, ora denso di dolore sotteso e di una sensualità corrotta, decaduta, espressione di sentimenti tanto devastanti quanto mai espliciti. Un personaggio che, probabilmente, potrebbe anche riuscirle bene scenicamente. Come non è da sottovalutare il rapporto tra la Fleming e la musica di Cilea, compositore più "raccolto" e meno esteriorizzante rispetto a Puccini o Mascagni, dalla scrittura elegante e lirica che si confà maggiormente alla cantante americana. Se già in altri dischi i brani dall'Adriana avevano suscitato un certo interesse, anche l'aria da Gloria conferma le impressioni posive, laddove la linea di canto può farsi morbida e la dinamica preziosa. Glissiamo velocemente sulla pagina di Catalani, di scarso interesse musicale/interpretativo (Ebben me ne andrò lontana manca all'appello perchè già registrata in passato) nonchè fuori dal contesto storico/culturale che vorrebbe animare il disco. Così come poco rilevante è il pezzo dalla Conchita di Zandonai, sorta di Carmen in salsa proto-decadentista nella quale la Fleming sembra proprio non riconoscersi.

Ultima sorpresa quindi di questo disco decisamente alterno sono le arie di Giordano. Sulla carta si farebbe fatica ad associare Reneè Fleming alla musica di Giordano, e probabilmente aldilà di questi brani la cantante americana non riuscirebbe ad essere così efficace nell'interpretazione di un'opera completa, sempre a causa di una vocalità e una sensibilità a lei estranea. E invece la Fleming, almeno in questi estratti, centra il segno. Per cominciare recupera con esiti strabilianti una pagina bellissima come quella da Siberia, dal lirismo sognante e sospeso (nel quale la cantante dà sfoggio di mezzevoci vellutate davvero notevoli), ricco di suggestioni slave che rimandano in qualche modo a territori più familiari al soprano americano (vedasi Oneghin e soprattutto Rusalka). Poi rilegge in chiave neo-romantica la scena finale di Fedora, altra eroina avvolta nel gelo dei paesi dell'est. Una pagina che, storicamente, è stata oggetto delle più volgari degradazioni del gusto verista in senso dispregiativo (singhiozzata, declamata, urlata, rantolata e quasi mai cantata) e che quì è riportata ad un intimismo fragile e composto che riesce nell'impresa di essere infinitamente più credibile nell'esprimere lo smarrimento di una vita che si spegne nel freddo pungente del rimorso. La parte è cantata interamente, con un filo di voce, con un colore sbiadito e un suono malfermo, come una candela al vento nella quale brucia ancora l'ultimo ricordo di una sensualità e di una passione ormai priva di forza e comunque vana, una lettura che fà di Fedora una sorta di nuova Violetta - nella foto - chiudendo il cerchio del "realismo" nella storia del melodramma. Giudizio finale: nel complesso un disco con molti alti e bassi e non pienamente convincente, sicuramente non il miglior recital del soprano americano. Un disco che però si fà apprezzare vuoi per la riscoperta di talune pagine fuori repertorio, vuoi per alcune letture azzeccate che aggiungono altri piccoli tasselli al mosaico artistico di Reneè Fleming, che nel bene e nel male riesce ancora a trovare spunti di apertura stimolanti per lei stessa come artista e per chi come noi la ascolta e ne continua ad ammirare la volontà di sperimentare e il tentativo di dire, con la musica, qualcosa di nuovo.

Renée Fleming - Verismo
(DECCA 2009)

1) Puccini - “Senza Mamma” from Suor Angelica
2) Mascagni - “Un di ero piccina” from
Iris
3) Puccini - “Ore dolci e divine” from
La Rondine with Saito Kaoru, Lucia Mencaroni, Barbara Vignudelli
4) Mascagni - “Ah, il suo nome… Flammen perdonami” from
Lodoletta
5) Catalani - “Ne mai dunque avro pace…Ohime!” from
La Wally
6) Puccini - “Si mi chiamo Mimi from
La Bohème
7) Leoncavallo - “Musette svaria sulla vocca viva” from
La Bohème
8) Leoncavallo - “Mimi Pinson la biondinetta” from
La Bohème with Paolo Cautoruccio, Marco Calabrese, Saito Kaoru, Annalisa Dessi, Carlos Gomez, Gilles Armani and Choir
9) Puccini - “Addio… Donde lieta" from
La Bohème with Arturo Chacón-Cruz
10) Leoncavallo - “Angioletto, il tuo nome?” from
Zaza with Emma Latis
11) Puccini - “Sola perduta, abandonata” from
Manon Lescaut
12) Zandonai - “Ier della Fabbrica” from
Conchita
13) Cilea - “O mia cun fiorita” from
Gloria
14) Giordano - “Tutto tramonta” from
Fedora with Arturo Chacón-Cruz and Emma Latis
15) Puccini - “Tu che di gel cinta” from
Turandot with Arturo Chacón-Cruz, Marco Calabrese, Barbara Vignudelli, Choir
16) Giordano - “Nel so amore” from
Siberia
17) Puccini - “Bevo al tuo fresco sorriso” from
La Rondine with Jonas Kaufmann, Barbara Vignudelli, Paolo Cauteruccio and Choir




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