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venerdì 17 luglio 2009

DISCOGRAFIE CRITICHE: Bellini e le sue Primedonne (Parte 1)



IL PIRATA E LA STRANIERA: i ruoli Méric-Lalande

Il Pirata è il primo lavoro davvero degno di nota di Bellini. Sebbene già rappresentato più volte in tempi moderni (addirittura ci fu un allestimento con Gigli all'inizio del secolo scorso), il vero revival dell'opera si ebbe con la Callas alla Scala, anno 1958. E la premiata ditta Callas-Corelli-Bastianini, che faranno 2 anni dopo faville col Poliuto donizettiano, dovevano rappresentare il cast ideale, ma non ci è dato purtroppo di ascoltare tale registrazione perchè, così sembra, "there's no Pirata" come disse lo stesso Corelli. Esiste la registrazione in forma di concerto di una Callas a New York che già evidenzia i primi segni di fatica vocale...lei comunque stratosferica, col dramma nel sangue, ma Ego e Ferraro non sono nè Bastianini nè Corelli. Se a questo si aggiunge che la partitura è, come consuetudine era all'epoca, pesantemente tagliata, Rescigno è onesto ma poco avvezzo alle finezze, il suono è da ripresa radiofonica anni 50, la Maria non basta a rendere leggendaria questa registrazione. La prima versione in studio è firmata invece da Montserrat Caballè, assieme a suo marito e al buon Cappuccilli. Non proprio un miracolo, ma una buonissima versione, specie che sul podio c'è Gavazzeni, più fine e meno scoppiettante di Rescigno, che almeno per una volta lascia la partitura quasi immune dalle mutilazioni cui il maestro era avvezzo.



La Caballè disegna una Imogene più fragile e tendenzialmente più belcantista in senso stretto (assecondando i suoi mezzi vocali), dove la Callas vedeva in Imogene una sorta di Norma ante-litteram (vedasi recitativo d'ingresso o caballetta finale), epurata quindi dei "fronzoli" retaggio dello stile di Rossini. La Callas infatti riteneva, per una sua visione personale del belcanto romantico, di dover ridurre al minimo indispensabile ogni forma di fioritura e di sfoggio virtuosistico in favore dell'espressione della tragicità del dramma. Visione che portò avanti strenuamente, alla quale si contrappose la nuova generazione (Sutherland e Caballè) restauratrice del belcanto in senso puramente vocale. Solo Leyla Gencer fece sua la personale visione di belcanto callasiano, e in questo (non certo per le qualità vocali, decisamente diverse) può essere considerata sua erede. Chi avesse maggiore ragione in termini stilistici non ci è dato saperlo, giacchè in questo specifico caso la prima Imogene della storia fu la Méric-Lalande, già grande primadonna rossiniana. E la scrittura infatti è alquanto rossiniana nonostante i cantabili siano già Bellini puro. Non siamo ancora quindi nel regno del "soprano Pasta", ma siamo altresì distanti dal "soprano Colbran". E a questo si aggiunga che la Méric-Lalande fu la prima Lucrezia Borgia, anche questo ruolo "a metà" cantato nell'ottocento non solo dai drammatici d'agilità ma anche dai lirici come la Grisi. Non stupisce quindi che la Borgia sia stato grande cavallo di battaglia della Caballè, ma altresì superbamente resa dalla Gencer, che ne dava una lettura più tragica ma non per questo meno pertinente. Tolto il fatto che la Scotto non ha mai affrontato il ruolo integralmente, negli anni 90 la nostrana Aliberti ha un po' monopolizzato questo personaggio, arrivando addirittura ad inciderlo nel 1994. Additata come la neo-callas (e non è nè la prima nè l'ultima), la signora Lucia, oltre ad un paio di note centrali un po' tubate, ha ben poco della Maria e questo non è detto che sia un difetto, ma in questo caso lo è. La sua lettura in studio è per me assolutamente da evitare. L'Aliberti canta spesso in una sorta di registro a mezza voce, tenue e coloraturistico, puntando tutto su una sua personale visione di belcanto (che tanto bello poi non è) sacrificando così l'accento drammatico. Meglio vanno le sue incisioni live. In tempi più recenti vale almeno la pena ancora di citare la Fleming del Metropolitan 2003, registrazione live ma di un broadcast (quindi ottima qualità audio). Reneè non è propriamente belcantista nata, ma riesce in più occasioni nell'impresa di essere credibile grazie ad un timbro suadente (talvolta troppo però) ed una tecnica non indifferente. Da brava americana talvolta le manca il gusto (indispensabile in questo repertorio) cosa che la fa miagolare come una gattina o ruggire come una pantera con note scoperte, caricate, di petto, o con portamenti, mezze voci e melensaggini assortite. Nel complesso però non è così deprecabile come certa critica ha decretato.


La Straniera è un opera ancora più sottovalutata, vuoi perchè non contiene pagine di forte rilievo come il Pirata, vuoi perchè la Callas la mancò per poco (e preferì in quell'occasione proprio il già citato Poliuto). Ancor meno quindi c'è da dire sulla discografia di questo titolo. Questa volta quindi la lezione la fà Renata Scotto in un disco dal vivo, vera artefice nel 1968 del revival di quest'opera, con l'ottimo Sanzogno sul podio, e il buon Cioni a fianco. E questo perchè se è vero che la prima Straniera fu ancora la Méric-Lalande, in quest'opera lo stile si fa ancora di più belliniano e meno rossiniano, il che favorisce maggiormente le voci liriche. Possiamo dire che questo è un ruolo Lalande di "seconda specie", maggiormente romantico-patetico rispetto all'Imogene de Il Pirata che possedeva già le caratteristiche del futuro drammatico d'agilità verdiano. Si palesa quindi già quel dualismo dei caratteri nelle voci femminili che troveremo anche nel "soprano Pasta". Quanto all'interpretazione della Scotto: il suo legato è perfetto, così come il fraseggio e la tenuta delle agilità. Non fosse ancora per qualche taglietto qua e là e, purtroppo, la qualità audio modesta da registrazione in house. Per chi a questo punto vuole ascoltare una buona Straniera e in buona qualità audio consiglio la Fleming del 1993. Opera più nelle sue corde rispetto al Pirata (per le ragioni già citate), affrontata in più fresche condizioni vocali. La Fleming non è la Scotto, ma anche in questo caso ne esce molto bene, e la aiutano nella complessiva riuscita la qualità buona del suono e l'integralità dell'opera. Taciamo la Caballè live, un po' troppo indulgente e approssimativa, e su una partitura martoriata dai tagli, e l'Aliberti (stesso discorso del Pirata) che ad alcuni piace molto ma non a chi scrive. Per chi volesse una chicca, come curiosità, c'è anche un live del 1971 della Souliotis (altra epigona callasiana, questa per ammissione della stessa Maria), ormai già declinante. Giusto a sottolineare ulteriormente quale peso vocale, a prescindere dal carattere più lirico o drammatico, dovrebbero avere i ruoli belliniani per voce di soprano.
Zizzu


DISCOGRAFIA CONSIGLIATA

Il Pirata - Callas, Ferraro, Ego, Rescigno (LIVE 1959)
PRO: live storico della Callas
CONTRO: tagli, resto del cast non sempre all'altezza, suono live

Il Pirata - Caballè, Martì, Cappuccilli, Gavazzeni (STUDIO 1970)
PRO: edizione quasi integrale, livello generale del cast
CONTRO: Martì, Caballè non sempre a fuoco

La Straniera - Scotto, Cioni, Campi, Sanzogno (LIVE 1968)
PRO: live storico della Scotto
CONTRO: tagli, suono live

La Straniera - Fleming, Kunde, Le Bron, Queler (LIVE 1993)
PRO: integrale, suono molto buono (broadcast), la Fleming
CONTRO: cast non sempre all'altezza, Fleming non sempre a fuoco






domenica 12 luglio 2009

PALCOSCENICO: Aida al Giardino di Boboli



La prima recensione del nostro blog è dedicata all’AIDA di Giuseppe Verdi, andata in scena a Firenze nello storica e suggestiva cornice del Giardino di Boboli. La recita alla quale ho assistito è quella del 9 luglio. Riflettori puntanti su questo nuovo allestimento, grazie anche alla grande pubblicità che era stata fatta alle scenografie ed ai costumi dello scultore polacco Igor Mitoraj (1944), il quale non è nuovo alla realizzazione scenica di opere liriche avendo già affrontato in passato il Puccini di Manon Lescaut e Tosca al festival pucciniano di Torre del Lago, ed è per questo che cominciamo a parlare, prima che della musica, dell'allestimento scenico. Mitoraj ha rilasciato nei giorni passati diverse interviste in cui dichiarava di aver cancellato con questo spettacolo quella patina che grava sugli allestimenti di opere come l’Aida, spesso prese di mira da registi e scenografi che le utilizzano come strumento per lo sfoggio delle proprie manie di grandezza, cedendo al gusto per la facile spettacolarità.

Mentre Mitoraj parla di tutti gli altri allestimenti di Aida come di "cose polverose" e "vecchio stile", dice che la Sua Aida vuole rappresentare non l’Egitto ma una veduta d’insieme del Mediterraneo (l’Egitto, la Grecia, Roma e un po’ di Africa, in poche parole come afferma lui stesso”il nostro mondo”). E già da queste dichiarazioni si può cogliere più la volontà di mettere in primo piano il proprio lavoro e le proprie idee piuttosto che un volersi mettere a servizio del lavoro, che fu sicuramente più arduo e complesso, di Giuseppe Verdi ed Antonio Ghislanzoni, che per avere la loro Aida "egiziana" dovettero affrontare non poche traversie prima di riuscire a rappresentarla. A rafforzare questa mia sensazione il fatto che sul manifesto dello spettacolo campeggi il nome di MITORAJ a caratteri cubitali, poco sotto quelli dell'autore dell'opera: come se il nome di Verdi e quello di Mitoraj avessero lo stesso peso nella realizzazione di questo spettacolo. Operazione commerciale abile non c'è che dire, ma non ben riuscita sotto il profilo artistico, almeno a giudizio di chi scrive.

L'arte dello scultore si manifesta in grandi teste spesso tagliate in diagonale, spesso spezzate e posizionate in ogni modo sul palco, in sculture simili a quelle degli atleti greci ed non per ultima in una statua equina (non equestre) che appare nella scena del trionfo. Ma vediamo meglio queste scenografie nel dettaglio. Il primo atto era caratterizzato da due bastioni laterali di color oro che dovevano rappresentare parte delle mura della città; sul centro della scena dei pannelli dipinti in oro-rame (simili a tele) di varie grandezze posizionati ogni volta in modo diverso ma più o meno sempre presenti durante l'opera; nella scena della vestizione dell'eroe (che ha illustri precedenti in allestimenti storici) la magnificenza solita si riduceva ad una grande testa, forse a rappresentare il dio Vulcano, e diversi fuochi accesi sulla scena, ora formata solo da una piccola gradinata che dal proscenio si dirigeva verso la scultura nel fondo. Se nel secondo atto la scena prima era realizzata riciclando gli stessi pannelli di sopra, la scena cosiddetta del trionfo invece era decisamente più pacchiana: al centro della scena, in alto sul fondo, una semisfera vuota che al momento opportuno si apriva mostrando Radamès all'interno (che da li scendendo si dirigeva verso il re) circondata da simil-impalcature che fungevano da gabbie per i prigionieri etiopi. Nel terzo atto vediamo il palco inclinato con i soliti immancabili bastioni ai due lati, qualche accenno di erbette fluviali e due teste poggiate sul palco spezzate anch'esse. Il palcoscenico inclinato è stata una delle grandi pecche del regista e dello scenografo. Amneris e Ramfis arrivano su di una barca attraverso il fiume, ma il Nilo è rappresentato dallo stesso piano di calpestio dei personaggi, e l'inclinazione rende ancora meno l'idea del fiume che, invece, si presume debba scorrere come all'orizzonte, parallelo quindi alla linea del proscenio (per alcuni ennesima idea geniale dello scenografo, per me una semplice incongruenza grossolana decisamente evitabile). La scena del quarto atto, dove Amneris si trova in preda al rimorso ed all'amore immenso per l'eroe, era realizzata nuovamente con i pannelli dorati e lo stesso l'ultima scena. C'è stata una cosa che a molti sarà passata inosservata, ma che rappresenta una grave manomissione drammaturgica rispetto all'impianto originale voluto da Verdi: il terzo atto era legato alla prima scena del quarto senza soluzione di continuità ("L'aborrita rivale a me sfuggia...già i sacerdoti adunansi...A lui vivo la tomba!!") dopodichè un lungo intervallo conduceva all'ultima scena del quarto atto. Il tutto immagino fosse escogitato per venire in contro ad esigenze di cambiamento di scena, ma ritengo che il regista si sia preso una libertà eccessiva stravolgendo l'equilibrio del libretto in cui gli atti erano due, distinti, ognuno con un suo significato. Chiamateci anche tradizionalisti, ma nel complesso la messa in scena ha dato la cattiva impressione di essere semplicemente lo sfoggio dell'arte scultorea di Mitoraj, lo stesso peccato di presunzione che lo scenografo rimproverava ai passati allestimenti, con l'aggravante della decontestualizzazione storica.

Veniamo ai costumi, disegnati dallo stesso Mitoraj, su cui c'è da dire veramente poco, essendo stati senza infamia e senza lode, sempre uguali, gli stessi dall'inizo alla fine per tutti i personaggi (forse dopo aver pagato il grande scenografo restava ben poco da investire nei costumi, questioni di budget). Aggiungiamo che lo stile sartoriale tutto ricordava fuorchè l'Egitto: Aida aveva un costume sul blu che poteva tranquillamente essere di Medea o di Luisa Miller, Amneris era vestita di bianco plissettato (alla greca) con un copricapo in stile vagamente egiziano, Radames aveva un costume degno di Pollione della Norma, Amonasro era come al solito un insieme di cenci vari sul beige e bianco, Ramfis veste lunga monocroma e semplice e così anche per il re. I balletti, punto debole dell'opera originale, nonostante rappresentino un accessorio, non devono però essere considerati nè tantomeno realizzati come se fossero elementi di semplice contorno, anche perchè se sono fatti male lasciano un brutto ricordo, e così è stato. La pochissima fantasia coreografica (non sono esperto ma si nota, senza ricorrere con la memoria alle coreografie dei grandi maestri) dava vita ad una serie di movimenti monotoni che non sono riusciti a coinvolgere lo spettatore (applausi molto tiepidi). Il corpo di ballo era formato da giovani, ragazzi e soprattutto ragazze di bella presenza, con l'eccezione di un ballerino (che definirei più mimo) dall'aspetto imbarazzante sulla scena, perchè troppo in contrasto con gli altri danzatori, per giunta più anziano degli altri, e non di poco a giudicare dalla sua scarsa agilità nei movimenti. Appariva nella Danza degli schiavetti nel secondo atto (dove tra l'altro i bambini erano rappresentati da adulti, ragazzi in tute marroni aderenti) ed aveva un ruolo non completamente chiaro, un eunuco forse, con atteggiamenti di ostentata effemminatezza, soprattutto in alcuni passi dove era in compagnia di uno degli altri tre danzatori.

La regia dell'opera era affidata ad Andrea Cigni, la cui intenzione era di rappresentare Aida come una semplice donna comune, che vive e soffre e che è dilaniata da dubbi ed ansie davvero troppo grandi per una sola anima; il problema è che la gestualità ridotta al minimo ed i movimenti di massa (ma anche solistici) non particolarmente fantasiosi non davano l'idea di un grande approfondimento, che invece in qualche caso (anche con ottimi risultati) è arrivato dai cantanti. L'Orchestra è cosa fondamentale nella realizzazione dell'opera; ieri sera ho sentito un'orchestra debole, con sbavature negli archi e nelle trombe della scena del trionfo. Forse le prove non sono state sufficienti ed il direttore d'orchestra, Roberto Tolomelli non è sempre riuscito a tenere insieme i solisti, il coro e l'orchestra, oltre al fatto che nel suo lavoro non si è evidenziata alcuna particolare ricerca timbrica, in un'opera peraltro così ricca di colori orchestrali. Il coro era una massa di voci non ben amalgamate ma anzi troppo distinte tra loro: per esempio nella scena del tempio di vulcano i due cori, interno delle sacerdotesse ed esterno dei sacerdoti, dovrebbero sposarsi in sonorità in piano o pianissimo; quel che si sentiva invece era una discrepanza tra i due elementi, mancava in due parole il fascino misterioso e notturno, quasi mitico della scena. Spesso poi, come già detto, il coro non stava al tempo dell'orchestra e ci sono stati più corse per riprendere il direttore da parte del coro e viceversa.

Veniamo adesso ai cantanti. Il Re ed il Ramfis di Rinaldi Milani e di Rosalen erano due voci dal timbro molto simile (un po' caprino) senza la giusta potenza soprattutto per quanto riguarda Ramfis e la giusta autorevolezza per il Re. Radamès era Ignacio Encinas, tenore di vecchio stampo (non per l'età ma per lo stile) che ha studiato con Gianni Poggi (già compagno di Maria Callas nell Gioconda discografica del 1952) e col grande Gino Bechi. La voce, che non è per nulla male, forse perchè appunto impostata secondo criteri della vecchia scuola, ha perso però un po' dello squillo e della limpidezza che doveva avere in origine, ma in generale il rendimento è stato buono e la voce era adatta al clima torrido dell'opera, il timbro era caldo e brunito da bravo tenore spagnolo, unico difetto a volte la voce un po' indietro, ingolata. Carmelo Corrado Caruso come Amonasro non mi ha colpito particolarmente, ma ha cantato in modo corretto e lineare; purtroppo il personaggio è difficile da rendere, perchè non ha una gran parte e dove è presente lo è sempre in compagnia di altri cantanti, quindi rischia come spesso accade di rimanere come in questo caso in ombra. Amneris era interpretata con grande sicurezza scenica e vocale da Serena Pasqualini, artista che non avevo mai avuto modo di apprezzare dal vivo, e che ho avuto l'occasione di ascoltare in un ruolo tremendamente difficile sotto ogni aspetto. Scenicamente la Pasqualini si muove con sicurezza ed autorevolezza (dote che non deve mancare al personaggio di Amneris) anche in un contesto registico non particolarmente forte; vocalmente l'ho apprezzata per la naturalezza del timbro in tutta la gamma, per non aver forzato le note gravi (vizio comune a tante Amneris) e per aver cercato una chiave di lettura particolarmente sentita; una nota a suo merito ancora, il fatto che la dizione fosse praticamente perfetta, e questo può essere solo un grande pregio da rilevare. Tuttavia una cosa piccola va detta: la voce mi è sembrata ancora troppo giovane per il personaggio e si è potuto notare soprattutto nella prima scena del quarto atto, la scena di Amneris per eccellenza, dove si avvertiva un affaticamento seppur minimo; spero che per ora non si avventuri in Azucene, Ulriche, Bouillon et similia perchè il tempo di farle ci sarà e le doti per farle ci sono. Il messaggero di Angelo Forte aveva una voce molto naturale, poco lirica e bisogna notare che le poche frasi di questo personaggio possono risultare molto insidiose, Karajan insegna (diceva lui: "non ci sono parti secondarie, da comprimari" tant'è che la sacerdotessa nella sua Aida discografica è Katia Ricciarelli e la voce dal cielo nel Don Carlo è Edita Gruberova per fare degli esempi); la sacerdotessa di Debora Beronesi aveva un timbro scuro ed era cantata con dignità.

Ho volontariamente lasciato per ultima la rivelazione e la grande gioia di tutta la serata (e di tante precedenti serate): DIMITRA THEODOSSIOU, che debuttava in Italia il ruolo di Aida dopo averlo cantato al Megaron di Atene in maggio, ruolo nuovo dunque che porterà anche in tournèe in Giappone. La signora Theodossiou, di origine greca, ha studiato a Monaco di Baviera e si è posta alla generale attenzione del pubblico in ruoli davvero impervi come Odabella, Giselda, Lucrezia Contarini, Lucia, l'Elisabetta I donizettiana, Anna Bolena e poi ancora in Otello, Amico Fritz, Norma (di cui oggi è una delle più autorevoli interpreti), Trovatore, Traviata e da poco Aida. Figurano tra i ruoli in preparazione anche Santuzza (che debutterà in Germania questa estate) e Maria Stuarda (in Italia l'anno prossimo), Imogene nel Pirata ad Atene ed Elvira nei Puritani. Insomma dando una lettura ai ruoli interpretati, ai direttori da cui è stata guidata ed ai teatri dove ha cantato si può dire che sulla carta Dimitra Theodossiou sia una cantante eccellente e versatile, e nella realtà, possiamo dirlo, lo è. Il ruolo di Aida è particolarmente difficile da rendere credibile, bisogna saper trovare un accento giusto, un colore giusto, non si deve fare un'Aida troppo sofferente e patetica perchè perde di attrattiva, ma neanche un'Aida troppo esuberante e aggressiva, il che renderebbe vana la contrapposizione con l'altro personaggio femmile dell'opera, Amneris, la "potente" per antonomasia. La difficoltà è stata superata grandemente dalla signora Theodossiou che ha fraseggiato in maniera impeccabile, facendo particolare attenzione alla parola scenica, che una sua illustre conterranea riteneva fondamentale, a ragione peraltro. Come attrice si è dimostrata abile nel trovare una gestualità semplice e quasi timida che però diveniva grande se accompagnata dalle passioni, che esprimeva in modo estremamente comunicativo col canto. Un canto che era libero nei momenti di espansione lirica (O cieli azzurri, duetto con Amonasro) e sottomesso, tenue nei momenti di estrema oppressione psicologica (Ritorna Vincitor, duetti con i protagonisti). I pianissimi erano eterei e le incursioni nel grave e nell'acuto realizzate senza apparente sforzo. Da segnalare il mi bemolle sovracuto che la Signora ha eseguito alla fine del concertato del secondo atto, in maniera impeccabile e sovrastando il notevole volume orchestrale e corale che l'orchestrazione verdiana prevede in questo punto. Un acuto non previsto dalla partitura e probabilmente antifilologico, ma l'opera è anche spettacolo vocale, e una nota alta, se ben emessa, è un brivido cui non si sa rinunciare. Un'Aida tra l'altro calata molto bene nella scenografia tendenzialmente intimista dell'opera, che è stata tutta un susseguirsi di espressioni di stati d'animo umani, ma anche di sentimenti mitizzati. Un debutto più che felice a cui mi auguro ne seguiranno altri (personalmente potrei sperare in Vestale, Ballo in Maschera, Adriana Lecouvreur e Wally). Il pubblico composto in gran parte da turisti (ma anche da italiani), confusionari ed ignari di quando e come si deve applaudire a teatro, spesso distratti e intenti alla conversazione, ha comunque tributato un successo caloroso alla serata che se per alcuni aspetti poteva apparire deludente per il suo tono volutamente pretenzioso, si è riscattata con punte di eccellenza nel canto, in particolare grazie alla splendida performance della signora Theodossiou.

DIDIER 10-07-2009

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